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Pubblicità vigilata per i legali europei

Articolo tratto da: Il Sole 24 Ore Data Pubblicazione 19/6/2007

Avvocati. Confronto di deontologie

BOLZANO. Sulle portiere dei taxi o con calendari tascabili, ma sempre nel rispetto dell’etica A quasi un anno dal contestatissimo decreto Bersani, gli avvocati si sono interrogati sul rapporto tra professione e comunicazione di mercato. Mettendo a confronto venerdì scorso, in un convegno organizzato dall’Ordine di Bolzano alla Libera università cittadina, esperienze europee sulla gestione del confine tra deontologia e informazione all’utenza. Se negli Usa si vedono veri e propri spot (anche di dubbio gusto) fatti da studi specializzati infortuni o class action, in Europa, anche laddove la pubblicità è pienamente libera, il ricorso all’eccesso è raro. Anche in Austria, dove pure—ha raccontato il presidente degli avvocati di Innsbruck, Harald Bunnann —  si è optato per una piena apertura: è possibile produrre gadget, come biro o calendari, inserzioni su taxi o mezzi pubblici,ma è anche diffusa, tra gli studi medio-grandi, la sponsorizzazione di eventi culturali o accademici nella propria città». Per lungo tempo, invece, il dibattito in Svizzera (in cui la pubblicità è libera da dieci anni), ha spiegato Leo Gehrer, giudice di Cassazione e già presidente degli avvocati di San Gallo, si è concentrato su «come realizzare una pubblicità oggettiva, evitando sia il cattivo gusto sia quella comparativa e non veritiera». In pratica, «non si può dire che l’avvocato in questione sia migliore degli altri o sia il migliore. Ma se in un’inserzione di uno studio legale si scrive “meritate la migliore difesa”, l’oggettività chiesta dai codici è formalmente rispettata». Paletti rigidi sino al paradosso accompagnano dal 2005 la nuova legge professionale forense francese. Sino ai primi anni Settanta — ha spiegato Dominique Briand, avvocato di Rennes — era proibito agli avvocati anche installare una targa all’entrata dello studio o indicare su carta intestata orari e giorni di apertura». Oggi la regolamentazione è più aperta ma resta molto severa. «La pubblicità va sottoposta, in via preventiva,al consiglio dell’Ordine. La targa deve essere di “dimensioni ragionevoli” e non deve assomigliare a insegne commerciali. E disciplinato cosa indicare su carta intestata, biglietti da visita o siti internet dello studio. E possibile inviare per posta un documento di presentazione ma non metterlo a disposizione in un luogo pubblico. Con il paradosso che la busta chiusa va poi inviata a persone già clienti dello studio». Antesignana della pubblicità per gli avvocati europei resta la Law Society inglese che ha regolamentato per la prima volta la materia nel 1936: «La piena libertà e l’approccio imprenditoriale che permea i grandi studi internazionali consentono la pubblicità ovunque— ha spiegato Nello Pasquini, solicitor in Inghilterra e Galles — dalla tv ai giornali, poster, gadget e persino T-shirt». Un solo limite, il decoro professionale: pr6ibite le visite a domicilio o le telefonate non richieste, ma anche la pubblicità comparativa e menzognera». Ma per la Law Society la pubblicità resta «benefica», anche dopo aver sanzionato lo studio Kama, che giocando sul nome, ha proposto, in uno slogan, soddisfazioni e prestazioni oltre le aspettative. Va forte il web tra gli avvocati tedeschi. «In Germania — ha spiegato Hansjoerg Staehle, presidente degli avvocati bavaresi — dal ‘94, anno della liberalizzazione, resta rara l’informazione, pur possibile, su taxi, radio o mezzi pubblici, mentre oltre 10 mila sono i siti di studi o servizi legali. Pubblicità non urlata. Sull’homepage dell’ordine di Monaco si spiegano le 19 specializzazioni dell’avvocatura e i servizi di orientamento ai clienti». «Il codice deontologico italiano, nonna di rango primario — ha concluso il presidente del Cnf, Guido Alpa—è perfettamente coerente con la disciplina disegnata dal decreto Bersani. Stiamo collaborando con l’indagine avviata dall’Antitrust, che comunque non può invadere l’autonomia degli Ordini. Inoltre, un’adesione acritica al modello anglosassone rispecchia una posizione ideologica Gli studi professionali non sono imprese — ha ribadito Alpa — dunque le attuali aperture possono considerarsi adeguate», Laura Cavestri


 
 

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